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Uno studio rivoluzionario...L'importanza del sole nella climatologia

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Uno studio rivoluzionario...L'importanza del sole nella climatologia Empty Uno studio rivoluzionario...L'importanza del sole nella climatologia

Messaggio Da koko Gio Nov 22, 2012 7:10 pm

Apro questo td con un 'intervista al prof.Scafetta..
insieme al dott Cohen potrebbero rivoluzionare la climatologia negli anni a venire


Se la Terra si surriscalda colpa del Sole: l’uomo non c’entra"
Nicola Scafetta, "cervello" emigrato negli Usa è l’unico al mondo ad aver elaborato una previsione scientifica sulle temperature planetarie fino al 2100. Il Protocollo di Kyoto? Carta straccia. Non è vero che il riscaldamento globale sia provocato per il 92,5% dai gas serra
Stefano Lorenzetto - Dom, 25/10/2009 - 09:19 commenta
Come smascherare la più colossale bufala del secondo millennio (anche del terzo) e vivere tutti felici e contenti. L’Ipcc, Intergovernmental panel on climate change, il foro intergovernativo sul mutamento climatico istituito dalle Nazioni Unite allo scopo di studiare il riscaldamento globale del pianeta, non avrebbe capito nulla. E pensare che nel 2007 gli hanno pure conferito il premio Nobel... I rapporti di valutazione periodicamente diffusi dall’Ipcc, che sono alla base di accordi internazionali come la Convenzione dell’Onu sui cambiamenti climatici e il mitico Protocollo di Kyoto, sarebbero carta straccia, più o meno.
L’Ipcc ritiene che il riscaldamento globale della Terra vada attribuito per il 92,5% ai gas serra prodotti dall’uomo, in primis all’anidride carbonica, e per il 7,5% al Sole.


Tutto sbagliato. Semmai sembrerebbe vero il contrario: è il Sole che modifica il clima e surriscalda il pianeta, non l’anidride carbonica e le schifezze emesse dai veicoli e dalle industrie, che incidono sull’innalzamento delle temperature in misura marginale. Quindi la pretesa del Protocollo di Kyoto di abbassare del 5% entro il 2012 i valori di anidride carbonica rispetto alle emissioni che si registravano nel 1990, con la speranza che le colonnine di mercurio dei termometri si comportino di conseguenza, non è soltanto ardua: è soprattutto inutile. Perché il Sole se ne impipa altamente delle umane decisioni.
A dirlo è il professor Nicola Scafetta, uno scienziato di 39 anni originario di Gaeta, che nel 1998, dopo essersi laureato in fisica a Pisa, se n’è andato a continuare i suoi studi in un’università del Texas e poi s’è trasferito a far ricerca e a insegnare al Free-electron laser laboratory della Duke University, uno dei più prestigiosi atenei degli Stati Uniti, fondato nel 1838 a Durham, nella Carolina del Nord. Scafetta è membro dell’Acrim (Active cavity radiometer irradiance monitor), centro mondiale di studio dell’irradianza solare associato alla Nasa, l’ente spaziale americano. Insomma, è uno di quelli che da noi vengono definiti «cervelli fuggiti all’estero», anche se non gli piace essere chiamato così: «Non mi sento per niente un fuggitivo. Espatriare allo scopo di confrontarsi a livello internazionale è quasi un dovere per chiunque voglia fare scienza in modo serio».
Alcuni osservatori ritengono che Scafetta possa legittimamente aspirare a diventare premio Nobel per la fisica nel 2035. Per capire il motivo del lusinghiero pronostico, basta leggere la presentazione del suo lavoro fatta dall’Us Environmental protection agency: lo scienziato italiano è l’unico al mondo ad aver elaborato una previsione scientifica sull’evolversi delle temperature planetarie da qui al 2100. Se le temperature seguiranno la sua previsione, continueranno a diminuire fino al 2030 per poi aumentare di nuovo fino al 2060. Ma già dal 2035 si potrà dire se si saranno comportate o no «alla Scafetta». E, in caso affermativo, sarà stato il nostro connazionale ad aver indicato a tutti come affrontare un problema altrimenti inintellegibile. Finora gli studiosi mondiali si sono accontentati di presentarci in proposito soltanto «scenari», che stanno alla scienza quanto i «se» stanno alla storia. Ma, come la storia non si fa con i «se», così la scienza non si fa con gli «scenari».
In parole semplici, di cosa s’è occupato?
«Ho simulato sistemi fisiologici per la diagnosi di ipossia e iperossia in pazienti a rischio».
Che c’entrano la diminuita e l’aumentata concentrazione di ossigeno nei tessuti del corpo umano? Pensavo che lei s’occupasse di clima.
«Anche. In realtà mi occupo di applicare modelli statistici a sistemi complessi non lineari, come quello che ho appena detto o come, appunto, le influenze del Sole, più precisamente dell’intero sistema solare, sul clima terrestre».
Oggi il «politicamente corretto» afferma che è l’uomo, con le sue emissioni di gas serra, a governare, anzi a sgovernare, il clima. Lei invece sostiene che è l’intero sistema solare, ho afferrato bene?
«A teorizzare che l’uomo governa il clima, e a essere stato insignito del premio Nobel per tale teoria, è l’Intergovernmental panel on climate change. Ma si ricordi che fu, quello dato all’Ipcc, un Nobel per la pace, non per la scienza. Secondo questi signori, il nostro pianeta rischia di raggiungere un punto di non ritorno se non s’interrompono al più presto le emissioni di CO2».
Cioè di anidride carbonica. E invece lei non crede a questo rischio?
«La Terra in passato, nel periodo cosiddetto Cambriano, 500 milioni d’anni fa, ha avuto già occasione di raggiungere questo presunto punto di non ritorno, quando la concentrazione di CO2 fu non 1,2 volte superiore ai livelli pre-industriali, com’è oggi, bensì 20 volte, diconsi 20, più elevata. Purtroppo l’umanità non misura gli eventi col metro della storia, in questo caso preistoria, ma con quello della cronaca. Senza rendersi conto che un secolo o due secoli sono niente, sul calendario del tempo. E gli eventi climatici seguono il calendario del tempo».
Com’è che all’Ipcc sono giunti alle loro conclusioni, a suo avviso avventate per non dire totalmente sballate?
«Fondandosi su modelli climatici chiamati General circulation models, che sono stati poi usati per fare proiezioni nel corso del XXI secolo, assumendo diversi scenari possibili. Questi modelli furono sviluppati prima del 2004, quando si credeva che la temperatura del pianeta fosse rimasta quasi costante nei mille anni precedenti all’era industriale. La credenza ebbe origine da un’analisi statistica effettuata nel 1998 da uno studioso, Michael Mann. Oggi sappiamo che è completamente errata. Inoltre, i cambiamenti climatici sono fortemente condizionati dalle nuvole, dal vapore acqueo, che è in assoluto il principale gas serra, e dalle correnti oceaniche, e i modelli attuali non tengono correttamente conto di questi contributi. I modelli hanno predetto un riscaldamento continuo della Terra in concomitanza con una continua crescita di CO2 durante gli ultimi dieci anni, ma questo riscaldamento non s’è avuto né negli anni dal 1940 al 1975, cioè in pieno boom industriale, né negli ultimi otto anni: in entrambi i periodi s’è osservato un raffreddamento del clima, non un riscaldamento. Inspiegabile, non trova?».
Trovo.
«E se si usano i modelli all’incontrario, cioè per “predire” il passato, essi non riproducono il forte riscaldamento occorso negli anni dal 1910 al 1940. Infine, i modelli che ho citato predicono un riscaldamento piuttosto vistoso nella media e alta troposfera, a circa 10 chilometri sopra l’equatore, ove invece le misurazioni satellitari degli ultimi trent’anni registrano un rinfrescamento».
Ha dell’altro da dire contro questi modelli?
«Be’, sì. Numerosi dettagli suggeriscono che essi non riproducono le oscillazioni viste per decenni nei dati della temperatura. E sistematicamente sottostimano gli effetti dei cicli solari sul clima».
Siamo giunti al cuore della questione: il Sole. Don Ferrante nei Promessi sposi incolpa le stelle dell’epidemia di peste. Lei invece attribuisce alla stella più vicina alla Terra il surriscaldamento del pianeta.
«Già. La domanda che una persona sensata dovrebbe porsi è: che cosa ha causato il riscaldamento della Terra nel trentennio 1910-1940, quando le emissioni di gas serra provocate dall’uomo erano pressoché irrilevanti? E scoprirebbe così che quello fu un periodo di forte crescita dell’attività solare, al pari del ciclo di circa tre secoli noto ai geologi come “periodo caldo medievale”. Mentre un periodo di scarsa attività solare, chiamato dagli astronomi “minimo di Maunder”, fu quello dei tre secoli attorno al 1600, noto ai geologi come “piccola era glaciale”».
Lei s’è posto la domanda.
«Sì. Ma ho seguito un approccio completamente diverso dall’Ipcc per rispondermi».
Mi spieghi questo approccio.
«Ci provo. Vede, i modelli dell’Ipcc, nel tentativo di contemplare la massima quantità di informazioni possibili, hanno incluso un numero enorme di parametri. Ma con un numero enorme di parametri liberi si può ottenere qualunque risultato. Il grande matematico John von Neumann usava dire: “Datemi 4 parametri e vi simulo al calcolatore un elefante; datemene 5 e gli faccio muovere la proboscide”. I modelli climatici, sebbene contengano centinaia di parametri, o forse proprio per questo, simulano malissimo la realtà. Io ho usato un criterio che chiamerei fenomenologico. Sono partito direttamente dai dati reali sul clima disponibili sin dal 1850 e ne ho fatto una dettagliata analisi statistica».
L’esito dell’analisi qual è stato?
«Ho potuto notare la presenza di cicli: i più importanti sono un ciclo di 60 anni e uno di 20. Quindi mi sono domandato quale fosse la loro origine, e credo di aver trovato la risposta. I cicli di 60 e 20 anni sono due cicli naturali, che influenzano tutto il sistema solare: il periodo sinodico di Giove e Saturno, precisamente 20 anni, e il periodo dell’orbita combinata di Giove e Saturno, precisamente 60 anni. Giove e Saturno col loro movimento intorno al Sole producono onde gravitazionali e magnetiche, che investono tutto il sistema solare e fanno letteralmente “ballare” anche il Sole e la Terra: i due maggiori periodi di queste onde sono proprio 20 e 60 anni. Ma forse un paragone tra il mio approccio e quello dei grossi modelli adottati dall’Ipcc può farle meglio capire lo spirito dell’analisi che ho condotto».
Sentiamo.
«Immagini che io voglia prevedere i suoi movimenti quotidiani per i prossimi giorni. Potrei cercare di costruire un modello che contenga decine di parametri liberi: lo stato di salute suo e dei suoi familiari, il traffico, le condizioni meteorologiche, i suoi interessi, il suo lavoro, eccetera, e usare quindi il modello per prevedere i suoi movimenti futuri in rapporto al variare dei parametri, cioè al variare degli scenari. Oppure potrei fare diversamente: studiare i suoi effettivi movimenti degli ultimi 100 giorni, analizzarli statisticamente in modo da enucleare gli elementi di ripetibilità che mi consentano di “prevedere” i suoi movimenti degli ultimi 1.000 giorni. Poi, se la “previsione” eseguita sul passato riproduce accuratamente questo stesso passato, ecco che allora posso usare il modello per avanzare una previsione vera sul futuro. Io ho fatto appunto così. Un mio modello si basa unicamente sul Sole: utilizza due informazioni statistiche presenti nella temperatura degli ultimi 30 anni e degli ultimi 150 anni, e ricostruisce più di 400 anni di clima. Un altro mio modello si basa sui pianeti: usa le informazioni degli ultimi 75 anni e riproduce i precedenti 75 anni».
Risultato?
«In entrambi i casi l’accuratezza delle “previsioni” sul passato è sbalorditiva. Ho quindi usato i miei modelli per fare previsioni da qui al 2100. Il punto centrale è che l’analisi da me fatta evidenzia che almeno il 60% del riscaldamento del clima terrestre osservato sin dal 1975 è causato dalle attività del Sole e degli altri pianeti. E, se così è, dovremmo attenderci un raffreddamento fino agli anni Trenta di questo secolo. Bisognerebbe pubblicare sul Giornale il grafico che ho disegnato al riguardo».
Manca lo spazio. Al massimo può esibirlo al fotografo che deve farle il ritratto, così lo vedranno anche i lettori.
«Il grafico mostra un tracciato rosso indicante la temperatura globale registrata dal 1850 in poi e le previsioni da qui al 2100 basate sul mio modello planetario. Per il futuro sono indicate con curve nere due diverse ipotesi: quella in cui la temperatura mantenga l’attuale fase di crescita e quella in cui la componente secolare dell’attività solare dovesse per qualche ragione ridursi, come peraltro altre considerazioni fanno presumere. Il futuro previsto da me appare ben diverso dalle proiezioni catastrofiche dell’Ipcc, rappresentate dalla curva tratteggiata in azzurro».
C’è nella comunità scientifica qualche altro studioso convinto che non siano le attività umane a governare il clima?
«Ne esistono moltissimi. Faccio parte di un comitato non governativo, l’Nipcc, Nongovernmental international panel on climate change, che ha prodotto quest’anno un corposo rapporto, il Climate change reconsidered, il quale è giunto alla conclusione che è la natura, e non l’uomo, a governare il clima. Questa conclusione è stata fatta propria da oltre 31.000 scienziati americani».
Insomma, dobbiamo ridurre le emissioni di anidride carbonica sì o no?
«La CO2, pur non essendo inquinante, è un gas serra e quindi influenza il clima. Ma attenzione: anche pochi centesimi di euro sono denaro e influenzano la nostra ricchezza. Il punto è che la CO2 antropogenica, cioè prodotta dall’uomo, non ha sul clima quell’influenza squassante e conclamata che ci vorrebbe far credere l’Ipcc. La CO2 è una molecola indispensabile per la fotosintesi clorofilliana che fa vivere tutte le piante. Maggiore CO2 significa quindi più vegetazione rigogliosa, più raccolti, più cibo per uomini e animali. Meglio cercare di adattarsi ai cambiamenti climatici piuttosto che tentare di governarli. Il clima è veramente un gigante di proporzioni impensabili. Fa quello che vuole, ci schiaccia quando vuole e come vuole».
(471. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

Che ne dite? lo trovo disarmante
ciao

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Uno studio rivoluzionario...L'importanza del sole nella climatologia Empty Re: Uno studio rivoluzionario...L'importanza del sole nella climatologia

Messaggio Da ale90 Gio Nov 22, 2012 7:37 pm

koko ha scritto:Apro questo td con un 'intervista al prof.Scafetta..
insieme al dott Cohen potrebbero rivoluzionare la climatologia negli anni a venire


Se la Terra si surriscalda colpa del Sole: l’uomo non c’entra"
Nicola Scafetta, "cervello" emigrato negli Usa è l’unico al mondo ad aver elaborato una previsione scientifica sulle temperature planetarie fino al 2100. Il Protocollo di Kyoto? Carta straccia. Non è vero che il riscaldamento globale sia provocato per il 92,5% dai gas serra
Stefano Lorenzetto - Dom, 25/10/2009 - 09:19 commenta
Come smascherare la più colossale bufala del secondo millennio (anche del terzo) e vivere tutti felici e contenti. L’Ipcc, Intergovernmental panel on climate change, il foro intergovernativo sul mutamento climatico istituito dalle Nazioni Unite allo scopo di studiare il riscaldamento globale del pianeta, non avrebbe capito nulla. E pensare che nel 2007 gli hanno pure conferito il premio Nobel... I rapporti di valutazione periodicamente diffusi dall’Ipcc, che sono alla base di accordi internazionali come la Convenzione dell’Onu sui cambiamenti climatici e il mitico Protocollo di Kyoto, sarebbero carta straccia, più o meno.
L’Ipcc ritiene che il riscaldamento globale della Terra vada attribuito per il 92,5% ai gas serra prodotti dall’uomo, in primis all’anidride carbonica, e per il 7,5% al Sole.


Tutto sbagliato. Semmai sembrerebbe vero il contrario: è il Sole che modifica il clima e surriscalda il pianeta, non l’anidride carbonica e le schifezze emesse dai veicoli e dalle industrie, che incidono sull’innalzamento delle temperature in misura marginale. Quindi la pretesa del Protocollo di Kyoto di abbassare del 5% entro il 2012 i valori di anidride carbonica rispetto alle emissioni che si registravano nel 1990, con la speranza che le colonnine di mercurio dei termometri si comportino di conseguenza, non è soltanto ardua: è soprattutto inutile. Perché il Sole se ne impipa altamente delle umane decisioni.
A dirlo è il professor Nicola Scafetta, uno scienziato di 39 anni originario di Gaeta, che nel 1998, dopo essersi laureato in fisica a Pisa, se n’è andato a continuare i suoi studi in un’università del Texas e poi s’è trasferito a far ricerca e a insegnare al Free-electron laser laboratory della Duke University, uno dei più prestigiosi atenei degli Stati Uniti, fondato nel 1838 a Durham, nella Carolina del Nord. Scafetta è membro dell’Acrim (Active cavity radiometer irradiance monitor), centro mondiale di studio dell’irradianza solare associato alla Nasa, l’ente spaziale americano. Insomma, è uno di quelli che da noi vengono definiti «cervelli fuggiti all’estero», anche se non gli piace essere chiamato così: «Non mi sento per niente un fuggitivo. Espatriare allo scopo di confrontarsi a livello internazionale è quasi un dovere per chiunque voglia fare scienza in modo serio».
Alcuni osservatori ritengono che Scafetta possa legittimamente aspirare a diventare premio Nobel per la fisica nel 2035. Per capire il motivo del lusinghiero pronostico, basta leggere la presentazione del suo lavoro fatta dall’Us Environmental protection agency: lo scienziato italiano è l’unico al mondo ad aver elaborato una previsione scientifica sull’evolversi delle temperature planetarie da qui al 2100. Se le temperature seguiranno la sua previsione, continueranno a diminuire fino al 2030 per poi aumentare di nuovo fino al 2060. Ma già dal 2035 si potrà dire se si saranno comportate o no «alla Scafetta». E, in caso affermativo, sarà stato il nostro connazionale ad aver indicato a tutti come affrontare un problema altrimenti inintellegibile. Finora gli studiosi mondiali si sono accontentati di presentarci in proposito soltanto «scenari», che stanno alla scienza quanto i «se» stanno alla storia. Ma, come la storia non si fa con i «se», così la scienza non si fa con gli «scenari».
In parole semplici, di cosa s’è occupato?
«Ho simulato sistemi fisiologici per la diagnosi di ipossia e iperossia in pazienti a rischio».
Che c’entrano la diminuita e l’aumentata concentrazione di ossigeno nei tessuti del corpo umano? Pensavo che lei s’occupasse di clima.
«Anche. In realtà mi occupo di applicare modelli statistici a sistemi complessi non lineari, come quello che ho appena detto o come, appunto, le influenze del Sole, più precisamente dell’intero sistema solare, sul clima terrestre».
Oggi il «politicamente corretto» afferma che è l’uomo, con le sue emissioni di gas serra, a governare, anzi a sgovernare, il clima. Lei invece sostiene che è l’intero sistema solare, ho afferrato bene?
«A teorizzare che l’uomo governa il clima, e a essere stato insignito del premio Nobel per tale teoria, è l’Intergovernmental panel on climate change. Ma si ricordi che fu, quello dato all’Ipcc, un Nobel per la pace, non per la scienza. Secondo questi signori, il nostro pianeta rischia di raggiungere un punto di non ritorno se non s’interrompono al più presto le emissioni di CO2».
Cioè di anidride carbonica. E invece lei non crede a questo rischio?
«La Terra in passato, nel periodo cosiddetto Cambriano, 500 milioni d’anni fa, ha avuto già occasione di raggiungere questo presunto punto di non ritorno, quando la concentrazione di CO2 fu non 1,2 volte superiore ai livelli pre-industriali, com’è oggi, bensì 20 volte, diconsi 20, più elevata. Purtroppo l’umanità non misura gli eventi col metro della storia, in questo caso preistoria, ma con quello della cronaca. Senza rendersi conto che un secolo o due secoli sono niente, sul calendario del tempo. E gli eventi climatici seguono il calendario del tempo».
Com’è che all’Ipcc sono giunti alle loro conclusioni, a suo avviso avventate per non dire totalmente sballate?
«Fondandosi su modelli climatici chiamati General circulation models, che sono stati poi usati per fare proiezioni nel corso del XXI secolo, assumendo diversi scenari possibili. Questi modelli furono sviluppati prima del 2004, quando si credeva che la temperatura del pianeta fosse rimasta quasi costante nei mille anni precedenti all’era industriale. La credenza ebbe origine da un’analisi statistica effettuata nel 1998 da uno studioso, Michael Mann. Oggi sappiamo che è completamente errata. Inoltre, i cambiamenti climatici sono fortemente condizionati dalle nuvole, dal vapore acqueo, che è in assoluto il principale gas serra, e dalle correnti oceaniche, e i modelli attuali non tengono correttamente conto di questi contributi. I modelli hanno predetto un riscaldamento continuo della Terra in concomitanza con una continua crescita di CO2 durante gli ultimi dieci anni, ma questo riscaldamento non s’è avuto né negli anni dal 1940 al 1975, cioè in pieno boom industriale, né negli ultimi otto anni: in entrambi i periodi s’è osservato un raffreddamento del clima, non un riscaldamento. Inspiegabile, non trova?».
Trovo.
«E se si usano i modelli all’incontrario, cioè per “predire” il passato, essi non riproducono il forte riscaldamento occorso negli anni dal 1910 al 1940. Infine, i modelli che ho citato predicono un riscaldamento piuttosto vistoso nella media e alta troposfera, a circa 10 chilometri sopra l’equatore, ove invece le misurazioni satellitari degli ultimi trent’anni registrano un rinfrescamento».
Ha dell’altro da dire contro questi modelli?
«Be’, sì. Numerosi dettagli suggeriscono che essi non riproducono le oscillazioni viste per decenni nei dati della temperatura. E sistematicamente sottostimano gli effetti dei cicli solari sul clima».
Siamo giunti al cuore della questione: il Sole. Don Ferrante nei Promessi sposi incolpa le stelle dell’epidemia di peste. Lei invece attribuisce alla stella più vicina alla Terra il surriscaldamento del pianeta.
«Già. La domanda che una persona sensata dovrebbe porsi è: che cosa ha causato il riscaldamento della Terra nel trentennio 1910-1940, quando le emissioni di gas serra provocate dall’uomo erano pressoché irrilevanti? E scoprirebbe così che quello fu un periodo di forte crescita dell’attività solare, al pari del ciclo di circa tre secoli noto ai geologi come “periodo caldo medievale”. Mentre un periodo di scarsa attività solare, chiamato dagli astronomi “minimo di Maunder”, fu quello dei tre secoli attorno al 1600, noto ai geologi come “piccola era glaciale”».
Lei s’è posto la domanda.
«Sì. Ma ho seguito un approccio completamente diverso dall’Ipcc per rispondermi».
Mi spieghi questo approccio.
«Ci provo. Vede, i modelli dell’Ipcc, nel tentativo di contemplare la massima quantità di informazioni possibili, hanno incluso un numero enorme di parametri. Ma con un numero enorme di parametri liberi si può ottenere qualunque risultato. Il grande matematico John von Neumann usava dire: “Datemi 4 parametri e vi simulo al calcolatore un elefante; datemene 5 e gli faccio muovere la proboscide”. I modelli climatici, sebbene contengano centinaia di parametri, o forse proprio per questo, simulano malissimo la realtà. Io ho usato un criterio che chiamerei fenomenologico. Sono partito direttamente dai dati reali sul clima disponibili sin dal 1850 e ne ho fatto una dettagliata analisi statistica».
L’esito dell’analisi qual è stato?
«Ho potuto notare la presenza di cicli: i più importanti sono un ciclo di 60 anni e uno di 20. Quindi mi sono domandato quale fosse la loro origine, e credo di aver trovato la risposta. I cicli di 60 e 20 anni sono due cicli naturali, che influenzano tutto il sistema solare: il periodo sinodico di Giove e Saturno, precisamente 20 anni, e il periodo dell’orbita combinata di Giove e Saturno, precisamente 60 anni. Giove e Saturno col loro movimento intorno al Sole producono onde gravitazionali e magnetiche, che investono tutto il sistema solare e fanno letteralmente “ballare” anche il Sole e la Terra: i due maggiori periodi di queste onde sono proprio 20 e 60 anni. Ma forse un paragone tra il mio approccio e quello dei grossi modelli adottati dall’Ipcc può farle meglio capire lo spirito dell’analisi che ho condotto».
Sentiamo.
«Immagini che io voglia prevedere i suoi movimenti quotidiani per i prossimi giorni. Potrei cercare di costruire un modello che contenga decine di parametri liberi: lo stato di salute suo e dei suoi familiari, il traffico, le condizioni meteorologiche, i suoi interessi, il suo lavoro, eccetera, e usare quindi il modello per prevedere i suoi movimenti futuri in rapporto al variare dei parametri, cioè al variare degli scenari. Oppure potrei fare diversamente: studiare i suoi effettivi movimenti degli ultimi 100 giorni, analizzarli statisticamente in modo da enucleare gli elementi di ripetibilità che mi consentano di “prevedere” i suoi movimenti degli ultimi 1.000 giorni. Poi, se la “previsione” eseguita sul passato riproduce accuratamente questo stesso passato, ecco che allora posso usare il modello per avanzare una previsione vera sul futuro. Io ho fatto appunto così. Un mio modello si basa unicamente sul Sole: utilizza due informazioni statistiche presenti nella temperatura degli ultimi 30 anni e degli ultimi 150 anni, e ricostruisce più di 400 anni di clima. Un altro mio modello si basa sui pianeti: usa le informazioni degli ultimi 75 anni e riproduce i precedenti 75 anni».
Risultato?
«In entrambi i casi l’accuratezza delle “previsioni” sul passato è sbalorditiva. Ho quindi usato i miei modelli per fare previsioni da qui al 2100. Il punto centrale è che l’analisi da me fatta evidenzia che almeno il 60% del riscaldamento del clima terrestre osservato sin dal 1975 è causato dalle attività del Sole e degli altri pianeti. E, se così è, dovremmo attenderci un raffreddamento fino agli anni Trenta di questo secolo. Bisognerebbe pubblicare sul Giornale il grafico che ho disegnato al riguardo».
Manca lo spazio. Al massimo può esibirlo al fotografo che deve farle il ritratto, così lo vedranno anche i lettori.
«Il grafico mostra un tracciato rosso indicante la temperatura globale registrata dal 1850 in poi e le previsioni da qui al 2100 basate sul mio modello planetario. Per il futuro sono indicate con curve nere due diverse ipotesi: quella in cui la temperatura mantenga l’attuale fase di crescita e quella in cui la componente secolare dell’attività solare dovesse per qualche ragione ridursi, come peraltro altre considerazioni fanno presumere. Il futuro previsto da me appare ben diverso dalle proiezioni catastrofiche dell’Ipcc, rappresentate dalla curva tratteggiata in azzurro».
C’è nella comunità scientifica qualche altro studioso convinto che non siano le attività umane a governare il clima?
«Ne esistono moltissimi. Faccio parte di un comitato non governativo, l’Nipcc, Nongovernmental international panel on climate change, che ha prodotto quest’anno un corposo rapporto, il Climate change reconsidered, il quale è giunto alla conclusione che è la natura, e non l’uomo, a governare il clima. Questa conclusione è stata fatta propria da oltre 31.000 scienziati americani».
Insomma, dobbiamo ridurre le emissioni di anidride carbonica sì o no?
«La CO2, pur non essendo inquinante, è un gas serra e quindi influenza il clima. Ma attenzione: anche pochi centesimi di euro sono denaro e influenzano la nostra ricchezza. Il punto è che la CO2 antropogenica, cioè prodotta dall’uomo, non ha sul clima quell’influenza squassante e conclamata che ci vorrebbe far credere l’Ipcc. La CO2 è una molecola indispensabile per la fotosintesi clorofilliana che fa vivere tutte le piante. Maggiore CO2 significa quindi più vegetazione rigogliosa, più raccolti, più cibo per uomini e animali. Meglio cercare di adattarsi ai cambiamenti climatici piuttosto che tentare di governarli. Il clima è veramente un gigante di proporzioni impensabili. Fa quello che vuole, ci schiaccia quando vuole e come vuole».
(471. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

Che ne dite? lo trovo disarmante
ciao


C' è poco da aggiungere ed in più è una teoria verificabile in tempi brevi...
Anche se probabilmente, come i modelli usati finora, anche il modello di Scalfetta avrà grossi limiti, perchè si basa su tempi ristretti (qualche centinaia di anni) mentre sono convinto che per l' analisi del clima e la sua evoluzione vanno presi in considerazione altri cicli molto più lunghi dell' ordine di migliaia di anni...
Tempo fa, avevo letto alcune ricerche dei cicli di Milankovitch che prendeva in esame cicli molto lunghi di migliaia di anni...


http://it.wikipedia.org/wiki/Cicli_di_Milankovi%C4%87

Poi ,secondo me, ci sono ancora cicli di cui non siamo alla conoscenza che influenzano il clima

Ciao! Wink Wink Wink
ale90
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Uno studio rivoluzionario...L'importanza del sole nella climatologia Empty Re: Uno studio rivoluzionario...L'importanza del sole nella climatologia

Messaggio Da riccardo 94 Gio Nov 22, 2012 7:37 pm

Io in questi anni ho capito solo che tutti si scontrano per essere considerati rivoluzionari mentre penso che la causa non sia "del tutto umana": il sole ha una grandissima influenza e non penso che dalla rivoluzione industriale del 1800 abbia incominciato a scaldare di più,penso magari stupidamente che construendo le città si è influitoe si è aumentato il contibuto di calore nel mondo ma per esempio in antartide dove non si costruisce nessuna città non c'è questo problema anzi l'inverso un'aumento di massa anno dopo anno
riccardo 94
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Messaggio Da ale90 Gio Nov 22, 2012 8:56 pm

riccardo 94 ha scritto:Io in questi anni ho capito solo che tutti si scontrano per essere considerati rivoluzionari mentre penso che la causa non sia "del tutto umana": il sole ha una grandissima influenza e non penso che dalla rivoluzione industriale del 1800 abbia incominciato a scaldare di più,penso magari stupidamente che construendo le città si è influitoe si è aumentato il contibuto di calore nel mondo ma per esempio in antartide dove non si costruisce nessuna città non c'è questo problema anzi l'inverso un'aumento di massa anno dopo anno

Dal mio punto di vista non è un pensiero stupido, era quello a cui pensavo anch' io tempo fa; infatti pensavo che l' isola di calore delle città potesse fornire un surplus di calore all' atmosfera, anche perchè i dati delle anomalie di temperatura a terra sono molto più alte rispetto a quelle rilevate dai satelliti...

Es anomalia ottobre: +0,63
anomalia ottobre nella bassa troposfera (dato satellitare): +0,34°C (UAH)

Mi sembrava quasi un riscaldamento "dal basso"...

Da un recente studio però sembra che l' effetto dell' isola di calore sia minimo (2-4%)...

http://www.3bmeteo.com/giornale-meteo/quanto-l--isola-di-calore-urbana-contribuisce-al-global-warming--54773
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Messaggio Da luca90 Gio Nov 22, 2012 11:08 pm

Che articolo interessante koko!!

Io sono sempre stato dell'idea che l'uomo c'entra ben poco al riscaldamento del pianeta e che questo segue dei cicli ogni tot di anni ...
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Messaggio Da koko Ven Nov 23, 2012 12:17 pm

a mio avviso ciò che rende illuminante questo studio è:
1) collega la climatologia alla astronomia e alla storia,vedremo come.
2)riporta l'uomo,e la disinformazione, al ruolo che gli spetta di fronte al mondo
che lo circonda.
3) un approccio completamente nuovo.
4)Studio esposto con chiarezza senza urlare nè senzazionalismo.
riporto un'analisi del suo lavoro:
Il Sole, il nostro motore (quasi) immobile al centro del Sistema Solare. Argomento spinoso, dibattuto, deriso e sminuito da alcuni, elevato a Deus Ex Machina da altri. Il Sole ha un ruolo nei cambiamenti climatici terrestri? La risposta è affermativa e abbastanza chiara a tutti quando si tratti di considerare tempi lunghi, lunghissimi (ere geologiche). Cosa accade, però, se cerchiamo traccia del Sole anche nei cambiamenti climatici su scala di breve termine, per esempio su scala decennale?

Succede che si apre una sorta di vaso di Pandora, un tutti contro tutti a livello scientifico. Il motivo è presto detto, si osservi la seguente nota tabella:



L’ IPCC relega la forzante solare ad un ruolo meno che marginale nel contesto delle forzanti ad oggi conosciute. Tale affermazione parrebbe essere una pietra tombale per quanto concerne il capitolo Sole. Ogniqualvolta qualche ricercatore rispolveri la forzante solare, lo abbiamo visto negli ultimi anni, gli viene opposta quella tabella. Oggi vi è una serie di studi che cerca di scoprire la reale quota parte di cambiamento climatico attribuibile al Sole, in questa sede analizzeremo l’ultimo in ordine cronologico, a firma di Nicola Scafetta.

Un centro di gravità permanente
Il Sole è un motore immobile solo nelle semplificazioni atte a spiegare facilmente il funzionamento del nostro sistema solare. Sappiamo infatti (c’è tanta fisica e matematica dietro) che essendo parte di un sistema più complesso (i pianeti, le altre stelle più o meno lontane) il Sole reagisce dinamicamente a queste sollecitazioni. Ovviamente stiamo parlando della forza di gravità.

Immaginate di giocare a girotondo con un bambino di corporatura esile. Con molta probabilità, prendendolo per le braccia e facendolo roteare attorno a voi non vi sposterà dal punto in cui siete. Ipotizzate adesso di poter far roteare attorno a voi due bambini, uno più leggero e uno molto più pesante. Molto difficilmente riuscirete a mantenere la vostra posizione e anche voi, piano piano, vi sposterete dalla posizione iniziale. Attenzione: quella qui descritta non è la forza di gravità, ma è un esempio molto utile per visualizzare mentalmente quanto accade quando mettiamo in relazione 1, 2, n corpi nel vuoto cosmico. Per i lettori più precisi dovremmo anche parlare di moto angolare e di tanti altri aspetti che però in questo contesto possiamo mettere da parte.

In realtà il sistema solare non necessariamente ruota attorno al Sole, tutti insieme ruotano intorno al cosiddetto Centro di massa del sistema solare (Center of Mass in the Solar System, CMSS). Attualmente il CMSS è al di fuori del nostro Sole (dal 2000 al 2100 si calcola che il CMSS si troverà al di fuori del Sole per il 67% del tempo).

Questo meccanismo, ovvero la distanza del Sole dal CMSS e la sua velocità relativa rispetto al CMSS, si suppone che possa influenzare l’attività solare1 . Esiste una segnatura di questo fenomeno nell’andamento dell’attività solare e, perchè no, nell’andamento delle temperature terrestri? Scafetta e altri sostengono che sia possibile rintracciare queste variazioni nell’andamento termico medio globale.



Andando a rapportare gli indici di cui sopra alle variazioni di temperatura del nostro pianeta, otteniamo quanto segue:



Confronto tra le densità spettrali della temperatura globale e del CMSS

Se quanto sopra venisse confermato, allora Scafetta avrebbe trovato il legame tra ciò che modula l’attività solare, la sua velocità e il clima terrestre

Analizzando i dati è anche emerso che il ciclo di 60 anni del CMSS corrisponde perfettamente al ciclo della Atlantic Multidecadal Oscillation (AMO), con un lag di 5 anni. Lo stesso Scafetta, a onor di scientificità, si chiede se sia una correlazione vera o se sia una coincidenza, magari introdotta tramite qualche involontario artificio matematico. In attesa di conoscere gli algoritmi utilizzati, noi di CM ci poniamo in una posizione neutra, sebbene i dati utilizzati non siano frutto di ricostruzioni proxy e quindi non dovrebbero soffrire degli innumerevoli bias che invece riscontriamo quotidianamente in tante altre ricostruzioni.

Total Solar Irradiance, una ricostruzione da rifare?
Nel precedente paragrafo abbiamo riassunto il primo dei punti focali messi in luce da Scafetta, il secondo riguarda l’indice che riporta le misurazioni della radiazione solare. L’argomento è estremamente tecnico, quanto emerge è che le ricostruzioni fin qui utilizzate potrebbero non essere corrette. Esse infatti si fondano sull’utilizzo di particolari algoritmi che consentono di ottenere i dati proxy per la serie in questione. Scafetta ha scoperto che utilizzando alcune misurazioni strumentali, piuttosto che altre, cambia l’esito finale. Le ricostruzioni attualmente in nostro possesso ci parlano di una TSI stabile dal 1980. Utilizzando altre serie di dati (non incluse nella precedente ricostruzione) emerge invece una TSI crescente negli ultimi decenni.

Questo è un aspetto sicuramente non marginale se infatti, come sempre più scienziati stanno confermando, il clima terrestre è influenzato dal Sole anche su scala temporale di breve termine, ciò vuol dire che una variazione dell’attività solare, tra un ciclo e l’altro, può determinare dei riflessi sul clima terrestre.

Modelli climatici globali limiti e prospettive
Nell’ultima parte della trattazione, Scafetta affronta il discorso relativo ai modelli matematici per la simulazione del clima terrestre ( Global Climate Model, GCM). Secondo l’autore (ma ne abbiamo discusso ampiamente anche su CM) i GCM sono sicuramente strumenti necessari per il progresso della conoscenza scientifica, tuttavia soffrono di notevoli limiti. In particolar modo, gli attuali GCM, secondo Scafetta, sottostimano di svariati ordini di grandezza la forzante solare e conseguentemente tutti i feedback (le retroazioni) ad esso legate. Il discorso è molto ampio, spesso abbiamo messo in luce come sia rischioso definire politiche economiche su scala globale, basandosi esclusivamente sulle proiezioni fornite da modelli matematici oggettivamente limitati.

Scafetta propone un modello fenomenologico (in altre parole “Un approccio olistico“, argomento trattato dal Prof. Mazzarella, citato nel lavoro di Scafetta, che CM ha avuto l’onore di ospitare sulle proprie pagine) che comprenda anche il Sole, partendo dai dati empirici. Dal momento che un modello dettagliato che leghi il Sole al clima terrestre ancora non esiste, la soluzione sicuramente pragmatica è quella di inserire le osservazioni.

Un nuovo approccio, un nuovo risultato
A questo punto possiamo tirare le somme di quanto detto: da un lato prendiamo la TSI corretta, dall’altro lato consideriamo anche la teoria del centro di massa del sistema solare (che sulla Terra influenza la lunghezza del giorno, in inglese Length of the Day, LOD), mettiamo tutto insieme all’interno del modello fenomenologico e cosa otteniamo?

Il risultato è quantomeno sorprendente: Scafetta dimostra che il suo modello può ricostruire centinaia di anni di eventi climatici terrestri, con un dettaglio ad oggi difficilmente pensabile. Uno dei principali problemi degli attuali modelli climatici consiste proprio nella difficoltà a simulare il clima passato, a meno di forti condizionamenti. Scafetta però dimostra che se si tenesse conto nella maniera dovuta della forzante solare, ecco che emergerebbe il clima passato. E tanto fa il suo modello fenomenologico.

Andando a scomporre l’attuale riscaldamento globale, emerge che ben il 65% è attualmente spiegabile attraverso la forzante solare le sue retroazioni sul sistema climatico terrestre. Vi è poi anche spazio per retroazioni, al momento da indagare accuramente, legate alle forzanti astronomiche (ne abbiamo parlato, appunto il CMSS e la LOD).

Altrettanto importante è l’individuazione, tramite il modello, di cicli pari a 60,30,20 e 10 anni. E’ importante sottolineare il ciclo decennale, in quanto siamo nel campo degli influssi di breve periodo, quando si è sempre esclusa una segnatura del Sole al di fuori del lungo-lunghissimo termine. A livello di temperature che peso hanno questi cicli? La stima attraverso il modello fenomenologico parla di una variazione pari a 0.40°C – 0.45°C per il ciclo di 60 anni. Questo ciclo naturale spiega completamente il riscaldamento registrato nel periodo 1910-1945 e spiegherebbe per il 70% quello occorso tra il 1975 e il 2002.

Nel suo studio, Scafetta utilizza il nuovo modello per emettere una previsione sull’andamento climatico dei prossimi decenni. Coerentemente a quanto spesso detto qui su CM, preferiamo non parlare di previsioni climatiche di lungo termine, lasciamo che il lettore si crei autonomamente un giudizio.

Qui potete assistere alla conferenza tenuta da Scafetta, durante la quale ha presentato il suo modello fenomenologico. La trattazione è in inglese e ha una durata superiore ai 60 minuti, tuttavia è assolutamente importante per comprendere i meccanismi di questa nuova ricerca. Seguendo questo link, invece, potrete scaricare le slide della conferenza.

Nicola Scafetta è laureato in fisica presso l’Università di Pisa ed è Philosophy Doctor, sempre in fisica, presso la University of North Texas. Al momento detiene più di 40 studi pubblicati e che hanno passato la revisione critica.

Mi siano concesse alcune considerazioni, in chiusura. L’ipotesi proposta dal Dott. Scafetta è estremamente affascinante e per molti aspetti convincente. Dimentichiamo per un momento la questione se questo studio sia valido o meno, quello che rimane è la chiara e netta rappresentazione di una scienza che ha ancora molto da scoprire e da studiare. Quello che rimane è un quadro incompiuto: è come se ci trovassimo di fronte alla rappresentazione pittorica di un frutto, su una tela completamente bianca. Farà parte di una natura morta, o quel frutto sarà ancora sull’albero? Io credo che i frutti di questa materia e della ricerca vadano ancora colti nella quasi totalità. Abbiamo appena accennato lo schizzo iniziale. Tuttavia lo schizzo iniziale non è affatto sufficiente per dire cosa apparirà sulla tela e, fuor di metafora, aver appena compreso i meccanismi generali del nostro clima non è sufficiente per programmare politiche sociali ed economiche per i prossimi 150 anni, ma questa è decisamente
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Messaggio Da luca90 Ven Nov 23, 2012 12:37 pm

Shocked Ciumbia che spatafiata koko, ho iniziato a dargli una lettura stasera quando finirò di lavorare completo la lettura Wink

Cmq e molto interessante e sembra molto rivoluzionario il sistema che adotta lo scienziato
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Messaggio Da Snöstorm92 Ven Nov 23, 2012 12:45 pm

Estremamente interessante! Smile

Il sole è il protagonista dei cambiamenti climatici con molta probabilità Cool
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Messaggio Da koko Ven Nov 23, 2012 12:50 pm

Prima accennavo alla storia applicando i "cicli" riscontrati all' indietro nei secoli
dovremmo trovare un altro gc nel medio evo 16-18 secolo.
Che ci dice la storia?
Se si leggono testi di "cronisti" della guerra dei trenta anni prima metà 17sec
vengono evidenziati inverni gelidi e terribili che erano visti come punizione degli dei.Si narra che morivano più soldati per il freddo che per i combattimenti.Ma andiamo indietro e arriviamo al 1 secolo dcQi invece si dovrebbe esserein un periodo di gw.
Lo scrittore romano giuseppe Flavio riferisce di lustri di anni terribili per caldo
siccità,poca neve sulle Alpi con disagi per le legioni romani persino in Inghilterra.
Pensate che In Italia tribù barbare attraversavano le Alpi in pieno inverno,e non mi riferisco ad Annibale, mettendo in difficoltà gli eserciti romani.
IN conclusione,
io non so quanta valenza scientifica ha e avrà questo studio trovo interessanti però
collegamenti,i due citati sono un esempio, con la storia.
ciao
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Messaggio Da riccardo 94 Ven Nov 23, 2012 2:39 pm

Argomento sempre più interessante da approfondire assolutamente Very Happy
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Messaggio Da koko Gio Nov 29, 2012 9:10 am

Arrivano altre conferme allo schema del prof.Scafetta
Svariate testimonianze dimostrano che, tra il 1645 e il 1715, l’attività solare subì un drastico rallentamento: probabilmente quello non fu un episodio isolato


-

Nel 1893 E. Walter Maunder, sovrintendente per le ricerche solari del Royal Greenwich Observatory a Londra, studiando vecchi libri e riviste poteva credere a stento ai dati che trovava. Sembrava che per molti anni fosse sfuggita una fondamentale verità: il Sole non era cosi regolare e prevedibile come tutti avevano sempre pensato. Se quello che Maunder stava leggendo era degno di fede, allora il Sole doveva avere subito importanti mutamenti in tempi relativamente recenti. Più esattamente,le vecchie cronache mostravano che per un periodo di 70 anni, che finiva nel 1715 circa, le macchie e altri fenomeni di attività solare erano scomparsi dal Sole. Maunder sapeva che, se tutto ciò era realmente accaduto, si sarebbero potute trarre profonde implicazioni non solo per astronomia, ma forse anche per il clima e quindi per le future condizioni di vita sulla Terra.

Le macchie costituiscono il fenomeno solare meglio conosciuto e il ciclo di circa 11 anni in cui esse appaiono e svaniscono e uno degli eventi astronomici meglio documentati. Sebbene per secoli in Oriente gli astronomi avessero osservato grandi macchie solari a occhio nudo, nel mondo occidentale le macchie oscure sul Sole furono sostanzialmente ignorate fine al 1611, quando furono viste col telescopio da Galileo e da numerosi altri. Da allora in poi sono state tenute sotto costante osservazione telescopica. Nel 1343 l’astronomo dilettante tedesco Heinrich Schwabe dedusse dalle sue stesse osservazioni che se si rappresentava graficamente il numero medio di macchie viste in un anno, si poteva individuare un andamento ciclico con un periodo di circa 10 anni. La sua scoperta sorprese gli astronomi professionisti, che da tempo ritenevano che non ci fosse nulla di periodico nella comparsa delle macchie solari o in altri fenomeni di attività solare. Poco dopo annuncio di Schwabe, però, altri osservatori confermarono l’esistenza del ciclo, fissandone il periodo in 11,2 anni. Facendo uso di vecchi rapporti di osservatorio, l’astronomo svizzero Rudolf Wolf stabilì anche che il ciclo si ripeteva continuamente almeno dal 1700, anno che riteneva essere il limite di affidabilità per i dati disponibili. Nel 1893 era ben noto che il ciclo delle macchie solari era associato ad altri segni dell’attività solare e a fenomeni terrestri ricorrenti come le aurore boreali. La curva del numero di macchie solari per anno dal 1700 in poi appariva come una delle manifestazioni di un fenomeno periodico che si ripeteva invariabilmente sia nel passato che nel futuro. Quasi tutti erano convinti che le macchie solari e il ciclo di 11 anni non fossero fenomeni isolati a carattere transitorio. Anche allora come adesso si accettavano quei fenomeni come prove della regolarità dell’attività solare, dal che si deduceva che il Sole era stazionario e prevedibile.

Nel 1893 il Sole attraversava la fase di massima attività del ciclo delle macchie solari ed erano visibili centinaia di macchie, come Maunder ben sapeva. Anche negli anni in cui il ciclo e in fase di minimo si trova almeno qualche macchia solare: e raro che passi un mese intero senza che compaiano macchie sul Sole. Ma nei resoconti ammuffiti del XVII secolo, in un periodo di poco anteriore a quello corrispondente all’inizio della curva familiare che rappresenta la frequenza delle macchie solari, Maunder aveva trovato rapporti originali secondo i quali erano trascorsi anni e anni senza che apparissero macchie solari. Per 32 anni non fu osservata nemmeno una macchia nell’emisfero nord del Sole. Per 65 anni non si vide mai più di un solo piccolo gruppo di macchie per volta. Passarono vari periodi, che durarono anche 10 anni, senza che si trovassero macchie sul Sole. Maunder scopri che il numero totale di macchie solari osservate tra il 1645 e il 1715 era inferiore al numero di macchie che si vedano oggi (1977) in un solo anno di attività media.

Nel 1894 Maunder pubblicò un articolo intitolato: Un minimo prolungato dalle macchie solari in cui dava i dettagli di quello strano periodo nella storia del Sole e richiamava attenzione sulle possibili conseguenze. Se la scarsità apparente delle macchie era reale, l’astronomia solare avrebbe tremato fino alle fondamenta. Maunder fece notare che quel periodo così insolito avrebbe potuto fornire un test estremamente significativo sulle relazioni tra Terra e Sole: se il normale sviluppo del ciclo undecennale delle macchie solari era rilevabile nei cambiamenti del campo geomagnetico o forse delle condizioni atmosferiche, allora una modificazione prolungata nell’attività del Sole avrebbe dovuto essere accompagnata da effetti importanti sulla Terra. Non si sa con precisione se qualcuno prestò attenzione a Maunder. Un articolo precedente, che egli scrisse sullo stesso argomento, non venne tenuto in gran canto; uguale sorte toccò a un lavoro pubblicato un anno prima dall’astronomo tedesco Gustav Spfirer, che per primo spinse Maunder a interessarsi del periodo carente di macchie solari. Maunder non desistette. Nel 1922 ci riprovò con un altro articolo, che intitolo nuovamente; Un minimo prolungato delle macchie solari, in cui metteva ancora in evidenza l’importanza di quei 70 anni per l’astronomia solare e per la fisica terrestre. Sei anni più tardi Maunder mori, e il ciclo delle macchie solari continuò a ripetersi regolarmente quasi a prendersi gioco di lui. I suoi articoli furono dimenticati oppure furono ritenuti il prodotto di un entusiasta che riponeva troppa fiducia in resoconti vecchi e approssimativi.

Parecchi anni fa pensai che fosse tempo di chiarire il caso delle macchie solari mancanti che da troppo tempo pendeva imbarazzante come uno scheletro nell’armadio della fisica solare. Era stato disturbato da riferimenti occasionali a tale problema in relazione con un cambiamento contemporaneo del clima mondiale. Come astronomo solare ero certo che una cosa simile non sarebbe mai potuta accadere e il mio interesse per la storia rendeva particolarmente attraente la prospettiva di un’analisi critica delle affermazioni di Maunder.

II problema si presentava con la trama di un giallo si diceva che un crimine, grave per l’astronomia e forse per la Terra stessa, fosse state commesso in passato. Tutto ciò era realmente avvenuto ? Gli indizi originali che Maunder aveva seguito nello sviluppo del caso avevano ora più di 250 anni, ma si trovavano ancora infatti nelle biblioteche che conservano le cronache del XVII e del XVIII secolo. Ancora più incoraggiante era il fatto che nuove informazioni si erano acquisite col progredire della fisica solare nel mezzo secolo successivo alla morte di Maunder. Le nuove informazioni comprendevano cataloghi di osservazioni storiche di aurore boreali, compilazioni di macchie solari osservate in Oriente a occhio nudo e una più profonda comprensione di come apparirebbe un Sole completamente inattivo durante un’eclisse totale. Ma soprattutto potevano trovare uno strumento particolarmente efficace nell’analisi moderna degli anelli di accrescimento annuale degli alberi.
1 parte fonte NIA



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Messaggio Da koko Gio Nov 29, 2012 9:14 am

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Messaggio Da koko Ven Nov 30, 2012 7:35 am

Altre testimonianze che confermano lo schema Scafetta 1 parte


Un caso a parte è rappresentato dalle conquiste dei Romani, che si spinsero fino a raggiungere terre situate a latitudini più elevate e caratterizzate da un clima più freddo, come l’Inghilterra. Ma in tal caso i Romani andarono a colonizzare terre che avevano, in quell’epoca, una notevole fertilità (come la Gallia e la Britannia) tant’è vero che in Inghilterra nel periodo romano era possibile coltivare il grano e la vite.
Proprio sul crollo della civiltà romana si sono fatte le ipotesi più disparate, da quelle che vanno da un’implosione interna provocata dall’eccessiva crescita dell’impero, che non permetteva più di controllare le frontiere, cosa che avrebbe favorito l’avanzata dei popoli provenienti dall’Europa centrale e orientale, fino alla crisi economica, dovuta ad un tracollo del sistema fiscale e finanziario, che avrebbe indebolito lo stato romano fino al tracollo militare di fronte alla travolgente avanzata delle "orde barbariche". Anche qui occorre chiedersi fino a che punto la storiografia abbia capito realmente cosa sia successo all’impero romano.
Sull’ipotesi che il crollo sia stato provocato dalle invasioni barbariche occorre riflettere molto, perché bisogna ammettere che le popolazioni del nord erano già presenti in modo massiccio all’epoca di Augusto e dei primi imperatori, tant’è vero che già nei primi due secoli dell’impero la cronaca storica ci parla di incursioni romane al di là della linea di frontiera, per mantenere inalterato il controllo dei territori conquistati. Inoltre la strategia politico-militare dei romani, che tendevano a "comprare" il consenso dei capitribù, che venivano spinti a lottare tra di loro, garantiva una supremazia che non avrebbe mai messo seriamente in pericolo Roma. Oltre a questo bisogna aggiungere che la potenza militare di Roma e la preparazione delle sue truppe era tale che difficilmente i popoli nordici l’avrebbero potuta scalfire, per cui se ci poniamo in questa logica, che ha un senso, evidentemente, allora occorre riflettere sul fatto che le invasioni barbariche possano essere non la causa ma la conseguenza del crollo dell’impero romano. Ma allora cosa può essere accaduto?
Certo è importante riflettere su quanto gli scienziati ci fanno notare.
Nei primi secoli dell’era cristiana il clima, in Europa e nel bacino del mediterraneo, era divenuto meno umido e più secco, anche se tale mutamento forse fu lieve e non interessò tutto il continente. A seguito di queste variazioni climatiche, certe zone, produttrici di derrate alimentari importanti per sfamare la popolazione, presumibilmente furono interessate da forti carestie che incisero fortemente sull’economia agricola dell’epoca. In tal senso si potrebbe valutare anche il fatto che a seguito di improvvise crisi economiche si possano essere verificate impennate inflazionistiche con aumento dei prezzi delle derrate alimentari, delle materie prime, con effetti notevoli anche sul costo della gestione finanziaria dello stato romano.
L’esistenza di una crisi inflazionistica, anche se diluita nel tempo, sembra essere reale, perché la disponibilità di risorse di metalli preziosi cominciò a ridursi col passare del tempo, al punto che tra il I e il IV secolo le autorità romane modificarono la composizione delle leghe metalliche con cui coniavano le monete, riducendo sensibilmente la consistenza di argento nel "fino". In questo contesto socio-economico, considerano la storia politica degli ultimi due secoli dell’impero, si possono fare alcune considerazioni sul progressivo indebolimento del pachidermico stato romano, che alla fine si indebolì a tal punto da esplodere ed essere soggetto al crollo politico-militare anche di fronte alle invasioni barbariche.
La pressione dei Barbari alle frontiere, rappresenta un segnale notevole dell’importante ipotesi secondo cui alcuni mutamenti climatici nei primi secoli dell’impero ebbero degli effetti devastanti sulle popolazioni locali, che furono spinte ad emigrare in massa verso l’Europa meridionale, nella speranza di trovare territori che permettessero una vita migliore. Questi mutamenti climatici, con un maggiore irrigidimento del clima nell’Europa settentrionale ed orientale avrebbero raggiunto il loro culmine tra il V e il VI secolo d.C., proprio nell’epoca del crollo dell’impero romano. Nella stessa epoca popolazioni provenienti dalla Sassonia (Germania centrale) si spinsero verso l’Inghilterra, a riprova che vi fu una vera e propria crisi che non coinvolse più soltanto territori romani, ma anche zone non più sotto il controllo romano, e a dimostrazione che tale crisi non fu legata alla volontà politica di annientare l’impero romano, ma a cause di forza maggiore, cioè a spinte esterne indipendenti dai fattori geopolitici.
La tenuta dell’impero romano d’oriente dipese da fattori di forza intrinseci a tale dominazione che permisero alla stessa di resistere a sconvolgimenti epocali e, almeno parzialmente, all’avanzata dell’Islam fino al medioevo.
Seguendo un certo ordine cronologico, cosa possiamo dire dell’Islam?
L’unificazione dello stato islamico sotto i califfi successori di Maometto rappresentò un momento importante per la storia dei popoli del Vicino Oriente, perché rappresentò il punto iniziale da cui, tribù disastrate di abitatori del deserto, di origine semitica, con una cultura frammentaria, ma millenaria, furono unite in un unico spirito nazionale, che rappresentò la base per la travolgente avanzata politico-militare dell’Islam verso l’occidente.
Ma cosa vi è sotto? Qual è il substrato socio-economico che sta alla base dell’interesse islamico per l’occidente? Evidentemente l’occidente stesso, una sorta di terra promessa, l’Eden a cui l’Islam aspira. Milioni di persone vivono nel deserto, in un clima che non permette, se non a prezzo di enormi sforzi, una facile sopravvivenza.
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Messaggio Da koko Ven Nov 30, 2012 7:36 am

2 parte
L’Islam avanzò, a partire dal VII-VIII secolo, a passi da gigante verso l’Europa e solo la potenza militare dei principi cristiani riuscì a fermare l’avanzata musulmana, quando ormai la penisola iberica, tutta l’Africa settentrionale, la Sicilia e il Medio Oriente erano in mano alla dominazione saracena. Da quel momento in avanti, lo scontro tra queste due civiltà dura da 1.400 anni.
In questo caso il fattore climatico incide non tanto per effetto di variazioni improvvise, che nel clima desertico non ci sono da oltre 7 mila anni, quanto per le condizioni stesse del clima che non favoriscono nemmeno lo sviluppo tecnologico della civiltà islamica.
È importante riflettere sul fatto che l’Islam rappresentò una cultura immensa che conservò e trasmise all’occidente diversi testi provenienti da culture più antiche, come quella greca, ed ebbe un ruolo fondamentale nelle scienze matematiche, nell’astronomia, nell’ingegneria, nella medicina, nello sviluppo delle tecnologie legate alla fabbricazione della carta, alle tecniche di navigazione ecc., ma nonostante questo immenso patrimonio trasmesso all’occidente l’Islam fu tagliato fuori dalla rivoluzione industriale. Perché?
La risposta a questa domanda non è facile, ma si può supporre che lo sviluppo della civiltà islamica fu frenato non solo dall’evolversi degli avvenimenti politico-militari (come il venir meno della cultura araba originaria e l’avanzata delle popolazioni turche selgiuchide) ma anche dai fattori ambientali nei quali si mosse l’Islam.
L’Islam non aveva le risorse per diventare come l’occidente e su questa tragica conseguenza il clima incide moltissimo. Popoli che devono preoccuparsi di procurarsi l’acqua per non morire di sete non possono avere una rivoluzione industriale; non ci sono le condizioni ambientali, antropologiche, istituzionali perché vi sia sviluppo; tutto si ferma allo stato in cui si trova la cultura originaria, che può essere aiutata solo dall’esterno.
A parte queste considerazioni, che ci aiutano a capire come lo sviluppo delle civiltà sia fondato su logiche abbastanza ferree, è importante mettere in luce un altro aspetto sempre legato alla storia delle civiltà, in questo caso alla rinascita dell’occidente alla fine del I millennio d.C.
Sulla Rinascita dell’occidente, intorno all’anno 1000, la ricerca storica si è soffermata parecchio, sicuramente nel tentativo di comprendere le origini dello sviluppo socio-economico dell’Europa nei secoli che vanno dall’XI al XVI, cioè nei secoli che precedettero l’avvento del capitalismo e della Rivoluzione industriale.
Il risultato a cui si è giunti è che intorno all’anno 1000 si assistette ad una ripresa delle attività economiche, che nel primo medioevo (dal 500 al 900 d.C.) erano ridotte all’economia di sussistenza e caratterizzate dal blocco sociale sorto intorno all’economia feudale.
Fondamentalmente per molti studiosi (si veda il pensiero di grandi come H. Pirenne, R. Brenner) il problema dell’economia del primo medioevo fu proprio questo. L’esistenza di una società chiusa su stessa, senza possibilità di contatti con l’esterno, senza possibilità di sviluppo degli scambi commerciali, in cui il Feudo rappresentava, istituzionalmente e statualmente l’unico punto di riferimento per gli uomini dell’epoca e in cui non vi era spazio per attività produttive che andassero ad interessare istituzioni al di fuori del Feudo. Tutta l’economia ruotava intorno al bisogno di sussistenza e quindi lo sviluppo delle attività produttive si arrestò.
In particolare H. Pirenne attribuì le cause della rottura del mondo antico e il passaggio al medioevo vero e proprio all’avanzata dell’Islam il cui rapido irrompere sulle scene della storia bloccò le vie di comunicazione con l’oriente isolando l’Europa cristiana.
Anche qui occorre chiedersi se i mutamenti climatici incorsi in Europa, nei primi secoli dell’era cristiana, non abbiano avuto effetti più prolungati nel tempo e non abbiano interessato l’economia agricola al punto da ridurre la fertilità dei terreni a causa della maggiore aridità del clima, anche in una fase compresa fra il VI e il X secolo d.C. Infatti, se è vero che le vie di comunicazione erano bloccate dai musulmani, è pur vero che gli Arabi introdussero merci e conoscenze in occidente, riuscendo a convivere "pacificamente" per qualche tempo anche con le popolazioni sottomesse di origine cristiana. Inoltre, anche se questo avrebbe comportato sforzi enormi, le vie di comunicazione con l’oriente non erano del tutto bloccate, perché si sarebbero potuti aprire dei varchi commerciali nell’Europa orientale, ma evidentemente i costi di trasporto sarebbero stati proibitivi e inoltre i maggiori centri di interscambio erano sotto il controllo musulmano.
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Uno studio rivoluzionario...L'importanza del sole nella climatologia Empty Re: Uno studio rivoluzionario...L'importanza del sole nella climatologia

Messaggio Da koko Ven Nov 30, 2012 7:39 am

3 parte...
Se comunque si può ipotizzare che i mutamenti climatici che colpirono l’Europa nel primo medioevo ebbero effetti duraturi fino all’alba del II millennio, allora si può riportare la crisi economica del primo medioevo ad una più consona spiegazione di natura economica legata ai mutamenti climatici stessi.
Non è che l’Europa medievale andò in letargo; semplicemente si trovò in difficoltà per i motivi che abbiamo detto più sopra.
Ovviamente anche gli studiosi fanno fatica a ricostruire un quadro esauriente di tali importanti avvenimenti, a causa della difficoltà a reperire testimonianze relative a quelle epoche. Vi sono per esempio scritti di importanti esponenti della comunità cristiana (si veda S. Cipriano) in cui si descrive il paesaggio delle campagne italiane all’indomani delle prime avvisaglie delle infiltrazioni barbariche; qui si lamenta il degrado in cui sono cadute le campagne locali, con l’incremento della vegetazione che assale le strade, la distruzione delle coltivazioni, l’abbandono dei campi, su cui transitano anche gli eserciti, il saccheggio delle città.
Una crisi epocale che coinvolge anche la vita economica e sociale degli uomini dell’epoca.
Si stima che nel periodo compreso tra il 200 e il 400 d.C. la popolazione italica si ridusse da circa 4 milioni a circa 2 milioni di persone e il regresso demografico caratterizzò non solo l’Italia ma anche altre zone dell’impero; inoltre varie pestilenze e carestie caratterizzarono questo tumultuoso periodo.
Trascorso questo periodo di circa cinquecento anni, in cui si assiste alla fine dell’impero romano, allo scontro tra l’occidente e l’Islam, alla nascita del Sacro Romano Impero, allo sviluppo della civiltà feudale e alle attese millenaristiche, si giunge all’alba del nuovo millennio con una rivoluzione economica e sociale che ancora oggi appare avvolta nella nebbia del mistero.
Le cause? Si può senz’altro dire che l’economia rurale e curtense che aveva caratterizzato il mondo romano e il primo medioevo si era fondata su uno sviluppo della tecnica e della scienza che era molto limitato, paragonabile a quello del precedente mezzo millennio.
Nell’epoca romana e del primo medioevo lo stato della tecnica era tale per cui l’aratro era ancora in legno e le tecniche di coltivazione, semina e aratura non permettevano di depositare il seme in profondità.
Intorno all’XI secolo furono introdotte una serie di innovazioni le cui origini sono avvolte nel mistero: fu introdotto l’aratro a ruote e a versoio, che permetteva di smuovere la terra più a fondo, garantendo una maggiore protezione alle sementi e quindi una migliore resa. Così pure le tecniche di tiraggio degli animali furono migliorate con l’introduzione del collare di spalla per il cavallo e del giogo frontale per il bue. Queste innovazioni con l’introduzione di nuove tecniche di coltivazione fondate sulla rotazione triennale garantirono il massimo sviluppo possibile della produzione agricola. Fu introdotto e si sviluppò il mulino ad acqua, che era già conosciuto all’epoca dei Greci ma di cui gli Antichi non avevano compreso le potenzialità.
Al di là di questi particolari, che lasciamo alla storia dell’economia, il dato più sorprendente è lo sviluppo delle terre messe a coltura e l’incremento demografico.
Si stima che, in una fase compresa fra il X e l’XI secolo, migliaia di ettari di terreni precedentemente incolti furono strappati alle paludi e alle foreste, con un incremento notevole della produzione agricola. A diverse latitudini si assistette ad un rifiorire delle attività agricole; in Italia furono bonificate molte zone prossime al Po e furono messe a coltura molte zone dell’Appennino.
Gli studiosi discutono se l’incremento della produzione agricola e manifatturiera fu la causa o la conseguenza dell’incremento demografico del continente europeo, che passò dai circa 45 milioni di abitanti del 1050 ai circa 70 milioni del 1300. Bisogna ammettere che quasi nessun studioso, al di là dei mezzi che disponiamo per l’indagine storica, ha preso in considerazione l’ipotesi, considerevole, che dietro a questa rinascita dell’Europa vi sia un miglioramento delle condizioni ambientali e climatiche.
Sicuramente, dopo i primi secoli dell’era cristiana in cui il clima era stato più arido, un lungo periodo caldo, con temperature medie più elevate e maggiore piovosità, garantirono quelle basi per lo sviluppo dell’economia tra il X e il XII secolo. Sappiamo che in questo periodo in Inghilterra si coltiva la vite e che i Vichinghi raggiunsero e istituirono alcune colonie in Groenlandia; una situazione che deve far supporre l’inizio di una fase caratterizzata da un clima più mite.
Gli sviluppi della climatologia e le indagini storiche, non fondate solo sulla ricerca di fonti scritte ma anche sull’impiego di un approccio multidisciplinare, permetteranno di dare una risposta a quesiti ancora irrisolti.
Sull’importanza che l’epoca storica della Rinascita dell’Europa intorno al 1000 possa avere ai fini di questo argomento occorre fare una breve riflessione su un altrettanto mistero storico che, all’incirca nella stessa epoca, caratterizzò la fine di una grande civiltà, ma questa volta dall’altra parte dell’Oceano e precisamente nell’attuale Messico.
La civiltà dei Maya, che si sviluppò in diverse città-stato in un arco di tempo millenario tra circa il 500 a.C. fino a circa il 1000 d.C., scomparve misteriosamente e improvvisamente intorno al IX-X sec. d.C.
Le testimonianze, che gli archeologi sono riusciti a raccogliere faticosamente, hanno dimostrato che una serie di avvenimenti possono aver caratterizzato la fine dell’impero Maya; una rivoluzione sociale che portò ad un diverso assetto delle istituzioni religiose e nobiliari all’interno della Società; tumulti popolari, legati al malcontento per tragici e inaspettati sviluppi della vita economica dello stato, tra cui il tracollo dell’economia di sussistenza; carestie e pestilenze improvvise, che annientarono gran parte della popolazione e costrinsero i sopravvissuti a fuggire verso nuove terre; l’invasione di popoli limitrofi provenienti da occidente che avrebbero insanguinato le terre Maya.
Anche qui occorre soffermarsi a riflettere sul fatto che le carestie (a cui si possono aggiungere gli effetti che epidemie possono avere sulla popolazione malnutrita e indebolita) non sopraggiungono all’improvviso ma sono il risultato di più o meno marcati mutamenti climatici che possono aver caratterizzato un’intera area territoriale su cui è stanziato un popolo.
Anche noi uomini del 2000 siamo alle prese con questi rischi.
È bastato un periodo di aridità di circa 6-8 mesi nel 2003 per creare dei forti disagi all’economia agricola non solo dell’Italia ma di molti paesi europei, con forte riduzione se non addirittura perdita di alcune produzioni agricole e impennata dei prezzi. E noi disponiamo di tutte le tecnologie che ci permettono di correre ai ripari, non altrettanto potevano fare questi antichi popoli.
Se il tracollo della civiltà Maya fosse iniziato anche a causa di mutamenti climatici che caratterizzarono l’America centrale intorno al 900-1000 d.C. viene da chiedersi se esista una relazione con i mutamenti climatici che possono aver caratterizzato l’Europa nello stesso periodo.
Sulla sponda orientale dell’oceano si ha la ripresa dello sviluppo della civiltà europea grazie ad un miglioramento climatico che diede l’avvio al rifiorire della civiltà; sull’altra sponda dell’oceano mutamenti improvvisi, che possono aver causato trasmigrazioni di popoli occidentali possono aver travolto la civiltà Maya.
In merito al fatto che vi possano essere mutamenti improvvisi del clima, anche con cicli di breve e brevissimo termine, si è fatto un gran parlare in questi anni dei fenomeni atmosferici di anomalo riscaldamento delle acque dell’Oceano Pacifico centrale (tra l’Australia e il Sud America) che va sotto il nome di El Niño.
L’incremento medio della temperatura superficiale delle acque oceaniche di circa 1,5-2°C determina un incremento di evaporazione, con un relativo incremento della piovosità sulle coste americane dell’oceano pacifico e un incremento delle precipitazioni nevose nell’estrema punta settentrionale del Nuovo continente.
A fronte di questi fenomeni si è notata una diminuzione dell’intensità dei fenomeni monsonici nell’Asia sud-orientale, con episodi di siccità nell’Asia centrale.
Il primo risultato a cui si è giunti è che fenomeni come quello di El Niño, che hanno una durata ciclica di circa 3-7 anni, possono avere effetti su scala mondiale.
Il fenomeno opposto, chiamato El Niña, provoca un anomalo raffreddamento delle acque oceaniche con effetti che vanno in direzione opposta; per studiare le fluttuazioni di tali fenomeni i ricercatori dello "Scripps Institution of Oceanography", dell’Università di San Diego in California, hanno studiato una colonia di coralli fossili, confrontandoli con quelli vivi, nell’isola di Palmyra, nell’Oceano Pacifico, effettuando ricerche sugli isotopi radioattivi dell’ossigeno che si riducono quando aumentano le temperature. Essi hanno dimostrato in tal modo l’esistenza di questi fenomeni già a partire dal 930 d.C. anche se è difficile stabilire con esattezza se fenomeni di così breve durata possano aver inciso in modo così marcato sul miglioramento del clima in Europa e un possibile peggioramento in America centrale intorno al 1000 d.C. Se ciò fosse possibile, si pensa a fenomeni, di durata più lunga nel tempo, i cui meccanismi non sono stati del tutto compresi.
Il medioevo conosce dunque una lunga fase di ripresa economica, sociale e demografica che va dal 1000 fino a circa la prima metà del 1300, ma a partire dalla metà del XIV secolo inizia una nuova fase di regresso economico, caratterizzata dalla comparsa delle epidemie ricorrenti di peste bubbonica, che decimano la popolazione europea (si parla di 25 milioni di morti) in diverse fasi tra il 1348 e il 1389. In questo periodo si ha una forte contrazione delle attività economiche, con abbandono dei campi, prevalenza delle attività di pascolo, forte incremento dei prezzi, a causa della caduta dell’offerta di derrate alimentari e manufatti.
Un periodo disastroso per l’Europa le cui cause, però, sono state individuate in modo più analitico dagli storici dell’economia, perché le testimonianze che ci provengono da quest’epoca sono decisamente più voluminose rispetto a quelle del IV-V sec. d.C.
Sappiamo con certezza che intorno al XIV-XV secolo iniziò una fase che venne definita dagli studiosi "piccola età glaciale", in cui vi fu un generale raffreddamento del clima sull’Europa settentrionale e centrale, con forti riflessi sulle attività umane. In questo periodo le colonie normanne della Groenlandia vengono abbandonate, a causa del fatto che i porti sono bloccati dal ghiaccio e i ghiacciai nelle valli alpine aumentano in modo consistente, al punto che molte terre circostanti vengono abbandonate. In alcuni paesi come l’Inghilterra non si riesce più a coltivare la vite e addirittura il grano.
Questa piccola era glaciale durò fino alla fine del XVIII secolo, anche se nel 1500 vi fu, in realtà, una ripresa economica molto forte che fa supporre che gli effetti di tale variazione climatica siano stati più forti nella prima fase di tale periodo (tra il 1300 e il 1400).
Su quest’epoca di grandi sconvolgimenti che colpì l’Europa è molto interessante la testimonianza dello storico R.L. Lopez che così scrive:

"(...) Il problema della sussistenza, che i poveri non avevano mai completamente risolto, si riaprì per primo al tempo della grande carestia degli anni 1315-17. Non furono risparmiate nemmeno le province più fertili d’Europa (...) La peste, quasi dimenticata dopo la grande epidemia del 747-750 d.C., ricomparve quasi esattamente seicento anni più tardi e portò via, forse, un terzo della popolazione europea, più di un terzo nelle agglomerazioni urbane. La guerra invece non era mai scomparsa; ma nel Trecento divampò con una ferocia e un’ampiezza nuova (...) Se si fosse trattato di calamità isolate, come ve ne erano state di quando in quando anche nell’età dell’espansione, una generazione sarebbe bastata a colmare i vuoti. Ma le catastrofi si rinnovarono, si prolungarono, si ripercossero l’una sull’altra (...) La peste ricomparve a intervalli quasi regolari (1348-50, 1360-63, 1371-74, 1381-84 ecc.), mentre l’improvvisa recrudescenza della malaria faceva il vuoto attorno a Siena, Pisa, Narbona, Aiguesmorte, e gli stanziamenti scandinavi della Groenlandia soccombevano al freddo e alla malnutrizione. Lugubremente documentata dagli scheletri sempre più rattrappiti che furono recentemente rinvenuti nel cimitero groenlandese di Herjolfsnes, la lenta agonia di quella punta estrema dell’Europa costituisce senza dubbio un fenomeno d’eccezione. Ma i villaggi abbandonati nel Trecento abbondano anche nelle terre tedesche a oriente dell’Elba, poc’anzi formicolanti di coloni in cerca di fortuna (...) gli ordini religiosi e militari di Alcantara, Alcatrava, Aviz (...) non riescono più a ripopolare i loro domini, e si sforzano invece di trasformarli in pascoli (...) L’agricoltura perde terreno anche nei paesi meglio coltivati e più fertili (...)".

La testimonianza di Lopez ci aiuta a comprendere quali sconvolgimenti attraversarono l’Europa in quel triste periodo.
Ciò che impressiona dai dati raccolti dagli storici sono proprio quegli indizi che confermano, tra le cause principali di questa crisi epocale, i repentini mutamenti climatici di cui la ricerca storica deve tenere conto per fornire una chiave di lettura il più possibile aderente alla realtà di quei tragici momenti.
Indizi come la testimonianza sui mutamenti climatici nell’estremo nord dell’Europa, come l’abbandono delle terre divenute aride nella Germania centrale, come la trasformazione dei terreni in pascoli (quindi in terreni più aridi e adatti a quel tipo di attività) devono farci riflettere sul repentino abbassamento delle temperature che colse impreparati milioni di persone in tutta Europa, cui si sommarono gli effetti devastanti delle epidemie e della crisi economica.
All’incirca nel periodo compreso fra il XII e il XIII secolo, anche i popoli provenienti dalle steppe dell’Asia centrale (i Mongoli) avevano interesse a conquistare territori a latitudini più temperate, se non a clima subtropicale, al punto da sfidare l’impero Cinese che, di fronte al pericolo delle "orde barbariche", non seppe fare molto per difendersi. La muraglia cinese, che difendeva la civiltà del lontano oriente per circa 3000 km contro la pressione delle tribù del nord, crollò quando tale pressione divenne insopportabile. Addirittura i Mongoli si spinsero fino alle porte dell’Europa rappresentando una minaccia reale per il Vecchio continente.
Per i popoli della steppa che praticavano l’allevamento del bestiame e il seminomadismo, proprio repentini mutamenti climatici, anche lievi, creando problemi di sopravvivenza del bestiame, avrebbero rappresentato una tragedia che spingeva tali popolazioni a cercare sbocchi in altri territori con condizioni climatiche migliori, causando l’inevitabile scontro di civiltà. Anche questi avvenimenti, a noi apparentemente così lontani, possono essere stati esasperati da cambiamenti nel quadro climatico locale e aver inciso fortemente sulle strategie politico-militari e organizzative di popoli che sembrano essere inconsistenti sul piano militare ma che in poco tempo riescono a distruggere un impero millenario.
Sicuramente nella storia dell’Umanità i popoli e le civiltà si sono scontrati quando era in gioco la sopravvivenza degli stessi, in un contesto ambientale dinamico e in continuo cambiamento. Il resto appartiene alla storia moderna e contemporanea, con i progressi della scienza accompagnati dalla vicinanza storica degli avvenimenti che ci permette di fare luce con estrema facilità su quale fosse lo stato del clima all’inizio della Rivoluzione industriale, a cui si aggiunge l’inizio delle misurazioni scientifiche e statistiche relative al clima, che ci permette di avere un quadro esauriente dalla metà dell’800 ad oggi.
Il raffronto con il passato appare difficile proprio a causa della mancanza di dati analizzabili che costringono gli scienziati a fare ipotesi più o meno azzardate sull’evoluzione storica di questa variabile così importante e al tempo stesso così poco valutata negli studi storici.
Qui si è voluto soltanto mettere in luce il ruolo che il clima può aver giocato nel determinare, insieme ad altri fattori e nel contesto storico di riferimento, il verificarsi di importanti avvenimenti della storia dell’Umanità, come lo sviluppo e il crollo di importanti civiltà per i quali restano ancora molti misteri non chiariti.
STUDIO DEL PROF. GIUSEPPE BADALUCCO

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Messaggio Da koko Mer Apr 17, 2013 9:17 am

http://www.climatemonitor.it/

come potete leggere la teoria del dott.Scafetta trova molto più riscontro nella realtà..
rispetto a dati "ufficiali" decisamente gonfiati..
vatti a fidare..
a presto
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Messaggio Da Matteo90 Gio Feb 13, 2014 1:23 pm

2 interessanti articoli

http://www.attivitasolare.com/verso-il-grande-minimo/

http://freddofili.it/13/02/2014/la-tsi-total-solar-irradiance-ed-il-suo-possibile-legame-col-global-warming/

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Messaggio Da Matteo90 Ven Ago 01, 2014 3:38 pm

Molto interessante! Guardate il video

http://www.attivitasolare.com/nicola-scafetta-i-cambiamenti-climatici-il-contributo-astronomico-e-il-contributo-antropico/

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